ERRATE

Immagini sbagliate. Costrette a errare alla ricerca di un luogo.
Pensieri che accompagnano disegni incompleti.
Il gioco delle nuvole.

LA SALITA
Una donna.
Appoggiata al suo muro, il naso sulla carta da parati il cui odore ogni giorno la nausea e gli occhi su un quadro di cui conosce ogni minimo dettaglio.
Ferma a metà strada fra la sala da pranzo e la camera da letto. Riprende fiato.
Ogni giorno così, da sempre.
Eppure sa che se cedesse alla stanchezza, anche per una sola volta, direbbe addio per sempre alla sua stanca vita.
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ALTA LA GUARDA
Trasalì.
Una sorta di eccitazione mista ad ansia, il tutto imperniato da un’urgenza che non aveva mai conosciuto prima di allora.
Cercò di prendere tempo, aspettò. Ma la sensazione si ampliava.
Correva, cercava di imporre ordine ma niente.
Sperò fosse solo un attimo, una parentesi.
Poi si rabbuiava.
“Perché? Perché proprio a me? Finirà?”
E quello non era che l’inizio.

2

OSCILLARE E SBATTERE
Oscillava tra la tentazione di usare parole sue e la certezza di poter ritrovare tra le parole di altri, i suoi pensieri. Ciò a significare che qualcuno, che non conosceva ma che rispettava, aveva provato in un passato prossimo o remoto, le sue stesse cose. Cercava comprensione e fraternità. Anche univoca ed ex-post, le andava comunque bene.
E poi c’erano quei piccoli miracoli che accadevano assai raramente, quando era il presente a meravigliarla e a suggerirle risposte a domande che ancora lei probabilmente cercava.
Il presente irrompeva con una tale ‘forza’, eventi minimi alla vista, si intende, e lei sapeva che, seppur inaspettati, quegli avvenimenti erano accaduti perché in qualche modo lei aveva agito.
Così, complimentandosi con sé stessa, si godeva il momento e aspettava che il presente diventasse, giorno dopo giorno, passato.

12

CERA PERSA
Iniziava subito un nuovo libro per non sentire troppo la mancanza di quello precedente.
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UN CIELO SOPRA
Imparò ben presto ad addormentarsi senza alcun programma per l’indomani e si svegliava allo stesso modo. La mattina correva sempre alla finestre per vedere fuori.
La luce di solito l’abbagliava e non riusciva ad abituarsi a quella visione, maestosa e immobile del mare. Stava lì un po’ perché niente era mai lo stesso: le barche davanti, le onde vicino alla riva, la luce. Quel giorno ce n’era poca.  La colazione serviva a riattivare i sensi e a capire cosa fare durante il giorno. Si sentiva strana.
Si rese conto ben presto che quella sensazione, all’inizio sconosciuta, in realtà era naturale: niente distrazioni esterne, esistevano solo lei e l’ambiente circostante. Il mare la circondava quindi la decisione era in comune.
Una volta che il cane si accorse che sopra di lui c’era un cielo, un cielo da cui potevano arrivare minacce esterne, cominciò ad aver paura e a guaire.
A lei successe la stessa cosa ma all’opposto. Tornare indietro non era contemplato.

27bis

NOTTURNO
Si fidava ciecamente dei propri occhi. E un po’ li temeva, come se avessero potuto mostrarle qualcosa che lei non avrebbe potuto sopportare.
Indossava sempre i suoi occhiali da sole. Sabbia ai lati delle lenti, per quanto li pulisse qualche granello restava sempre.
Ogni cosa è testimone della vita della persona che l’ha vissuta.
Quando arrivò sull’Isola, le sue lenti videro prima di lei le rive della baia. All’alba.
Quella stessa sera si accingeva a preparare la prima cena in quella nuova casa.
Buio fuori, solo la luna e un lampione a illuminare la strada in salita che portava nel paese. Un muretto al di là della strada che dava su un dirupo. Nessuna macchina.
Quello che vedeva dalla finestra della cucina era solo mare.
Poi all’improvviso, sul muretto, un cane accovacciato. Placido si godeva l’aria fresca della sera. Immobile, occhi chiusi, orecchie indietro, era presente e sfuggiva allo stesso tempo.
Un attimo dopo era scomparso.
Una visione?
Alba guardava in silenzio la luna crescente.

16

ALBA
Da sempre aveva la tendenza a nascondersi o rinchiudersi nei posti più disparati.
Posti piccoli, bui, nascosti. I posti più disparati purché lontano dalle persone.
I suoi posti segreti.
Le piaceva sentire in lontananza le voci, i passi, ora più lontani, ora più vicini.
Giocava a indovinare chi era la persona che in quel momento passava da lì, come era vestita, che espressione, cosa stava facendo.
Fantasticava immaginando le vite degli altri.
Immaginava sempre grandi città piene di grattacieli, luci, strade. Con auto, taxi, bus, metropolitane che scorrevano in tutte le direzioni. E che portavano ognuno verso la propria vita di metropoli fatta di amici e conoscenti, gente che si incontra per la prima volta e vecchi amici, gente con alle spalle ognuno la propria storia.
Per lei la città era la confluenza di tante storie, un groviglio quasi indistinto. E lei cercava di immaginare storia per storia di quel groviglio.
Poi la fantasia terminava, lei usciva dal nascondiglio e tornava alla sua vita normale, che era sua quindi che un po’ amava e un po’ odiava, come tutti alla sua età.

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